Codice disciplinare

CODICE DI COMPORTAMENTO E NORME ATTE
A CONTRASTARE LA CORRUZIONE ED I FENOMENI DI ILLEGALITA'
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Il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione è disciplinato dalla legge 6 novembre 2012 numero 190, il quale all’art. 1 co. 4 stabilisce che il Dipartimento della funzione pubblica tra l’altro predispone il piano nazionale anticorruzione, da approvarsi da parte della CIVIT, Autorità nazionale anticorruzione (cfr. precedente art. 1 co. 2, lett. b).

Le pubbliche amministrazioni centrali definiscono poi a loro volta il piano nazionale anticorruzione.
A questo livello “primario” del piano nazionale anticorruzione, fa riscontro, in base ai commi successivi, un secondo livello, quello “decentrato”: ogni amministrazione pubblica definisce un piano della prevenzione della corruzione che, sulla base delle indicazioni presente nel piano nazionale, effettua l’analisi e valutazione dei rischi specifici di corruzione e indica gli interventi volti a prevenirli da un punto di vista organizzativo.

Sulla base di quanto precede, è stata approvata dalla C.I.V.I.T. con delibera numero 72 dell’11 settembre 2013 la proposta di Piano Nazionale Anticorruzione, elaborata dal Dipartimento della funzione pubblica.
Il Piano, elaborato sulla base delle direttive contenute nelle Linee di indirizzo del Comitato interministeriale, contiene degli obiettivi strategici governativi per lo sviluppo della strategia di prevenzione a livello centrale e fornisce indirizzi e supporto alle amministrazioni pubbliche per l'attuazione della prevenzione della corruzione e per la stesura del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione.

Con l'approvazione del Piano Nazionale prende concretamente avvio la fase di attuazione del cuore della legge anticorruzione attraverso la pianificazione della strategia di prevenzione a livello decentrato.
Secondo il contenuto del Piano Nazionale, ciascuna amministrazione dovrà ogni anno adottare entro il 31 gennaio 2014 il proprio Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione, che di regola include anche il Programma Triennale per la Trasparenza e l'Integrità, trasmettendolo poi al Dipartimento della Funzione Pubblica.

Le norme in esame contenute nella legge 190/2012 fanno menzione esplicitamente degli Enti Locali e stabiliscono che l’organo di indirizzo politico nomina un Responsabile della prevenzione della corruzione, che negli Enti Locali è di norma il segretario.

L’organo di indirizzo politico è l’organo competente ad adottare entro il 31 gennaio il Piano Triennale di prevenzione della corruzione.

Che obblighi esistono per la Fondazione?
Come sopra indicato, in data 11 settembre 2013 con delibera numero 72/2013 la CIVIT ha approvato il Piano Nazionale Anticorruzione, come predisposto dal Dipartimento della Funzione Pubblica e trasmesso dal Ministro per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione alla Commissione in data 6 settembre 2013.

Sulla base del predetto piano nazionale (pag. 24), le pubbliche amministrazioni debbono adottare il piano triennale per la prevenzione della corruzione ai sensi dell’art. 1, co. 5 e 60 della legge 190 del 2012.
Il comma 60 stabilisce che “entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge 190 si definiscono gli adempimenti con l’indicazione dei relativi termini:
  • delle regioni
  • delle province autonome di Trento e Bolzano
  • degli enti locali,
  • degli enti pubblici
  • dei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo.
Detti adempimenti sono volti alla piena e sollecita attuazione delle disposizioni della legge 190, definendosi da parte di ciascuna amministrazione:
 
  • il piano triennale di prevenzione della corruzione a partire da quello relativo agli anni 2013 2015
  • l’adozione di norme regolamentari relative all’individuazione degli incarichi vietati dipendenti pubblici
  • l’adozione da parte di ciascuna amministrazione del codice di comportamento di cui all’articolo 54 co. 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 come sostituito dal comma 44 dell’articolo 1 della legge 190.


È tenuta cioè la Fondazione alla adozione del predetto Piano triennale?
Sempre in base alla delibera numero 72/2013 della CIVIT (pag.12), che ha approvato il Piano Nazionale Anticorruzione predisposto dal Dipartimento della Funzione Pubblica, “i contenuti del […] P.N.A. sono inoltre rivolti agli enti pubblici economici (ivi comprese l’Agenzia del demanio e le autorità portuali), agli enti di diritto privato in controllo pubblico, alle società partecipate e a quelle da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c. per le parti in cui tali soggetti sono espressamente indicati come destinatari. Per enti di diritto privato in controllo pubblico si intendono le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle pubbliche amministrazioni, sottoposti a controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi”.

Secondo quanto è scritto nel Piano Nazionale Anticorruzione (pag. 24) in base alle Linee di indirizzo del Comitato interministeriale le amministrazioni tenute all’approvazione dei P.T.P.C. sono:
a) amministrazioni centrali, ivi compresi gli enti pubblici non economici nazionali, le agenzie, le università e le altre amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 diverse da quelle di cui al punto b) (comma 5);
b) amministrazioni delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali, nonché degli enti pubblici”.
Per enti pubblici di cui alla lettera b) si intendono gli enti pubblici sottoposti al controllo di regioni ed enti locali.”

Si noti che in questo caso si parla di enti pubblici sottoposti al controllo di Regioni ed Enti Locali, non di Enti di diritto privato in controllo pubblico, quindi l’obbligo della predisposizione del Piano Triennale della prevenzione della corruzione non sembra di per sé doversi applicare anche agli Enti di diritto privato in controllo pubblico, quale è la Fondazione.

In che modo, dunque - come era scritto a pag. 12 del Piano Nazionale Anticorruzione - i suoi contenuti sono rivolti agli Enti di diritto privato in controllo pubblico? Il P.N.A. precisa:

  1. a pagina 33 che “al fine di dare attuazione alle norme contenute nella legge numero 190/2012 gli enti di diritto privato in controllo pubblico anche di livello locale sono tenuti ad introdurre ad implementare adeguate misure organizzative gestionali” e che “per evitare inutili ridondanze, qualora questi enti adottino già modelli di organizzazione e gestione del rischio sulla base del decreto legislativo 231 del 2001, nella propria azione di prevenzione della corruzione, possono fare perno su essi ma estendendo nell’ambito di applicazione non solo ai reati contro la pubblica amministrazione previsti dalla legge numero 231 ma anche a tutti quelli considerati nella legge 190 del 2012”;
     
  2. a pagina 34 che “gli enti di diritto privato in controllo pubblico devono nominare un Responsabile per l’attuazione dei propri piani di Prevenzione della corruzione che può essere individuato anche nell’organismo di vigilanza previsto dall’articolo 6 del decreto legislativo numero 231/2001, nonché definire nei propri modelli di organizzazione gestione dei meccanismi di “rendicontazione trasparente” (in maniera assai poco trasparente il P.N.A. usa il termine inglese “accountability”! n.d.a.), che consentano ai cittadini di avere notizie in merito alle misure di prevenzione della corruzione adottate e alla loro attuazione.
Si aggiunga poi che l’allegato 1 [“Obblighi di pubblicazione ERRATA CORRIGE E INTEGRAZIONI- formato excel (settembre 2013)”] alla citata delibera Delibera n. 50/2013 [“Linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016”] non include esplicitamente la redazione annuale nè del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità, nè del Piano triennale di prevenzione della corruzione tra gli obblighi degli enti di diritto privato comunque denominati in controllo pubblico, ivi incluse le Fondazioni, riservando detto obbligo esclusivamente a tutte le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni e cioè:
  1. tutte le amministrazioni dello Stato,ivi compresi gli li istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative,
  2. le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo,
  3. le Regioni,
  4. le Province,
  5. i Comuni,
  6. le Comunità montane e loro consorzi e associazioni,
  7. le istituzioni universitarie,
  8. gli Istituti autonomi case popolari,
  9. le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni,
  10. tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali,
  11. le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale,
  12. l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30luglio1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi al CONI)

Nell’Allegato 1 al P.N.A è scritto poi : “B.2 Modelli di organizzazione e gestione per la prevenzione del rischio per gli enti pubblici economici e gli enti di diritto privato in controllo pubblico.
Al fine di realizzare un’azione di prevenzione integrata tra i diversi soggetti che svolgono funzioni e attività amministrative, anche strumentali, i modelli di organizzazione e gestione degli enti pubblici economici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 231 del 2001 considerano anche il rischio di fenomeni corruttivi (par. 3.1.1 del P.N.A.) e presentano il seguente contenuto minimo:
  • individuazione delle aree a maggior rischio di corruzione, incluse quelle previste nell’art. 1, comma 16, della l. n. 190 del 2012, valutate in relazione al contesto, all’attività e alle funzioni dell’ente;
  • previsione della programmazione della formazione, con particolare attenzione alle aree a maggior rischio di corruzione;
  • previsione di procedure per l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione al rischio di fenomeni corruttivi;
  • individuazione di modalità di gestione delle risorse umane e finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
  • previsione dell’adozione di un Codice di comportamento per i dipendenti ed i collaboratori, che includa la regolazione dei casi di conflitto di interesse per l’ambito delle funzioni ed attività amministrative;
  • regolazione di procedure per l’aggiornamento;
  • previsione di obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;
  • regolazione di un sistema informativo per attuare il flusso delle informazioni e consentire il monitoraggio sull’implementazione del modello da parte dell’amministrazione vigilante;
  • introduzione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Le misure di prevenzione considerate ed implementate attraverso i modelli in questione debbono essere coerenti con gli esiti della valutazione del rischio, prevedendo la possibilità che l’ente sia considerato responsabile per i reati commessi in qualità di agente pubblico ovvero per quelle ipotesi in cui l’agente operi come soggetto indotto o corruttore.

Precisa il P.N.A. che le amministrazioni definiscono la struttura ed i contenuti specifici dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione, tenendo conto delle funzioni svolte e delle specifiche realtà amministrative.

Precisamente partendo da questo presupposto, la Fondazione per lo sport (che ha un organico di 7 persone!) ha deciso di dare priorità all’adozione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e di perfezionare il percorso – già iniziato - che dovrà portare ad introdurre ed implementare adeguate misure organizzative gestionali volte a contrastare fenomeni corruttivi attraverso tre momenti, che andranno ad integrare l’ambito regolamentare ed organizzativo dell’ente e cioè:
  1. adozione dei Modelli di organizzazione;
  2. adozione del Regolamento di organizzazione del personale.
Pur non essendo strettamente obbligata alla sua adozione, al termine di questo percorso la Fondazione potra’ aver posto in essere tutti gli strumenti essenziali per procedere non solo formalmente all’adozione del Codice Anticorruzione.

Quanto sopra in considerazione delle esigue risorse umane presenti nella Fondazione, della condivisione nei processi organizzativi interni di molte delle procedure che pongono già di per sé se stesse al riparo fenomeni corruttivi, rendendo trasparente l’azione della Fondazione.
 
Ultimo aggiornamento: 11/02/14

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